Sunday, August 4, 2013

A chiudere Varriale



Il suo ultimo giorno di lavoro si era tenuto il martedi’ della  settimana finale su quella che appellava come l’“Isolaccia”; aveva deciso di prendersi alcuni giorni off per avere il tempo necessario di fare neanche lui sapeva cosa.

I colleghi erano stati salutati per bene, quasi quanto gli amici più stretti emigrati nei giorni precedenti:  il compare di vecchia data in Massachusetts per un temporaneo impiego consolare; il compagno di casa in Veneto, avendo trovato lavoro non lontano dalla fidanzata, nella speranza di salvare una relazione ormai in procinto di arenarsi.

Un attimo dopo aver preso commiato dall’azienda il mettere piede fuori dall’ufficio gli aveva lasciato quella tipica sensazione che qualcosa che era stato suo fino a qualche minuto prima non lo era gia’ piu’; spontaneo sorgeva l’ interrogativo se mai lo fosse veramente stato.

Essendo il suo volo fissato per la domenica mattina, si era tenuto 4 giornate e 5 nottate per celebrare catarticamente il suo ritorno temporaneo nella detestata terra natia.

Il salto all’off licence per l’acquisto di qualche lattina pre-party avveniva senza pensare ma l’incrocio inatteso della collega brianzolo-siciliana lo coglieva impreparato. “Ma cosa fai, ti metti a fare l’ubriacone? Eppoi, festeggi la fine del lavoro o anneghi i dolori di cui si parla nell’alcol?”. La faccia poco terrena nell’emettere la risposta “E che differenza fa?” sconsiglio’ la Maria a rilanciare quella che sarebbe proseguita come una conversazione surreale.

Impiego’ la passeggiata verso casa pensando a come utilizzare quella manciata di ore rimaste in un luogo dove si era sentito a casa come poche altre volte gli sarebbe successo nei suoi continui spostamenti futuri. La sua mente non riusciva  a offrire immagini di luoghi vicini che avrebbe voluto visitare, ne suggeriva iniziative diverse da quelle abituali.

Due rimanevano i suoi pensieri: sbronzarsi nel “The Shoe”, dove passava abitualmente le serate meno noiose, e decidere se contattare le 2 tipelle che si stava lavorando negli ultimi tempi.

“Tanto l’olandesa se non ha tradito il marito con me fino adesso non lo va a fare quando sa di per certo che dalla prossima settimana non mi vedra’ piu’, e la napoletana bacia anche bene ma vede il sesso come un super big deal, e di accollarmi i suoi traumi mi va meno di 0” rifletteva.

Nessuno aveva mai capito perche’ quando non si trattava di stragnocche perdesse gli stimoli cosi’ rapidamente; dove gli altri si motivavano con le difficolta’ lui decideva di piantare tutto. “Se si qui e subito senno’ affanculo” era il suo motto, ma non essendo Johnny Depp la  coerenza non pagava quanto avrebbe voluto.

Un suo collega gli fece presente una volta “Tu soffri di chiari complessi di superiorita’ assolutamente ingiustificati” e lui ci rise su, divertito da una diagnosi che non considerava errata. Era la sindrome di Diego Nargiso: giocare alla Stefan Edberg essendo non un top five ma il numero 200 del mondo.

Ne era ben conscio, ma il limite che si riconosceva era quello di non essere ancora piu’ presuntuoso, unica conseguenza che avrebbe dato un senso ai suoi atteggiamenti.

Rebus sic stantibus decise di trascorrere le ultime sere nei pub, senza mai convocare le donzelle di cui sopra, vegetando in semi-coma i giorni seguenti, senza esigenza di alcuna attivita’ concettuale, fatta eccezione la spedizione di 70 chili via posta ed il cambio di nome sul contratto d’affitto.

Essendo stati i suoi leaving party precedenti (come pure quelli successivi) un mezzo disastro opto’ per il basso profilo: l’ultima notte, alla chiusura dei pubs alle 2:00 AM, chi avesse voluto avrebbe potuto raggiungerlo in quello che sarebbe stato per alcune ore ancora il suo appartamento.

Si presentarono tutti i superstiti delle avventure corckoniane, assieme ai piu’ grossi sfascioni del Mezzogiorno d’Irlanda. Gli tocco’ passare il finale dell’after-party, quando l’alba si approcciava, cacciando una mezza dozzina d’ispanici intenti ad annusare simultaneamente il lavabo del suo cesso e persino uno dei suoi piu’ affidabili amici che se li era tirati dietro.

La mattina, vale a dire un paio d’ore più tardi, giunto in una cucina gia’ ripulita dal nuovo inquilino francese, si trovo’ d’innanzi la sorpresa. “Sono due ore che aspetto” esordiva la napoletana.

“Mi dispiace, ma come potevo saperlo? Non mi sembrava di averti invitato...” sempre empatico e civile nelle sue risposte stronze, specie quelle spontanee da cabeza in piena resaca.

“Volevo farti una sorpresa, credevo potesse farti piacere” diceva una voce con tono dispiaciuto.

Avrebbe forse imparato negli anni a venire che la vita era questa: non importava cosa si fosse realmente condiviso a livello di esperienze, ma la traccia che per qualche ragione oscura si era lasciata in quella persona.

“Lo so che in questo periodo non ci stai colla testa ma hai il taxi fra pochi minuti, vuoi andartene con questa immagine?” lo metteva spalle al muro.

“Forse hai puntato sul cavallo sbagliato, eppoi se ci tenevi tanto ti potevi fare viva nei giorni precedenti” provava a uscirne.

“Sono qui ora, questo non conta?”

Geniale. L’ultima cosa che avrebbe voluto ora che si apprestava a ritornare nella citta’ eterna, dove lo attendeva una vita ben più difficile delle sbronze AnBrogiane, o degli scazzi con  clienti viziati d’albergo quali i platinum starwoodiani, era questo genere di confronti.

“Dai andiamo al taxi” le diceva, e quando il taxi giungeva ormai in vista chiudeva da par suo “Fammi solo un favore, e fallo a te stessa. Giacche’ qui ci starai qualche mese almeno, non passarlo a trastullarti su come si debba interpretare ogni singola cosa. Vivila e basta”.

Si giro’ una volta sola a vedere in lontananza la faccia perplessa di lei, conscio una volta di piu’ che dare consigli non serviva a nessuno, neanche quando fossero i migliori: se mai venivano seguiti da chi li dava perche’ mai avrebbe dovuto farlo chi li avesse ricevuti?